Con precedente approfondimento, abbiamo visto che l’amministratore di fatto e/o di diritto non risponde in proprio delle maggiori imposte accertate alla società. In questa sede, esaminiamo la responsabilità del socio.
La pretesa avanzata verso il socio attiene ad una obbligazione altrui, quella facente capo alla società e questa è l’unico soggetto che risponde della pretesa.
Nell’ordinamento tributario non esiste alcuna norma che sancisca la responsabilità solidale del socio per le obbligazioni di una società di capitali.
La responsabilità dei soci stabilita dall’art. 36, comma 3, DPR 602/73 è una responsabilità civilistica, tipica dell’azione da indebito: egli risponde per aver ricevuto somme che non gli spettavano. Nulla a che vedere con la coobbligazione che presuppone un’obbligazione principale altrui (cfr. Cass. nn. 25530/2021 e 25710/2021). Esso disciplina una particolare ipotesi di responsabilità per obbligazione propria ex lege, avente natura civilistica e non tributaria. Di fatti, l’art. 36 cit. opera quando la società è cessata ed il socio abbia ricevuto nel corso degli ultimi due periodi di imposta precedenti alla messa in liquidazione o durante il tempo della liquidazione denaro o altri beni in assegnazione. Il socio risponderà delle imposte delle quali sono responsabili i liquidatori ai sensi del primo comma della stessa norma nei limiti del valore dei beni ricevuti. E’ fatta salva la maggiore responsabilità stabilita dall’art.2325 del codice civile.
Se l’Agenzia agisce ai sensi del comma 3, dell’art.36 cit., essa deve formare uno specifico atto di accertamento nei confronti del socio, spiegando le ragioni in fatto e in diritto sulla base delle quali considerare quest’ultimo obbligato in proprio: così dispone il successivo comma 5. L’inesistenza di un simile atto, comporta l’illegittimità della pretesa per violazione procedimentale.