Il caso concreto: le parti contraenti, entrambi soggetti passivi Iva, stipulano un contratto di locazione di azienda con atto notarile e convengono: a) che per i primi tre anni il canone di locazione sia di importo ridotto rispetto a quello ordinario, b) a fronte dell’obbligo del conduttore di eseguire lavori di miglioria sull’immobile, per i quali il locatore assume l’obbligo di corrispondere un contributo in denaro. Il Notaio tassa l’atto ai fini dell’imposta di registro, ai sensi dell’art. 3-bis del D.lgs. n. 463/97, considerando il canone ridotto del primo anno, non tassa l’obbligazione del locatore di dare al conduttore un contributo economico per l’esecuzione dei lavori. L’Agenzia emette l’avviso di liquidazione a carico del Notaio con il quale chiede: a) una maggiore imposta di registro proporzionale sul canone di locazione del primo anno perché questo va considerato al lordo del valore dei lavori di miglioria, essendo questa una modalità di pagamento in natura del canone; b) l’imposta di registro al 3% sull’obbligazione assunta dal locatore di concedere un contributo in denaro a favore del conduttore per l’esecuzione dei lavori.
La Corte di Giustizia di primo grado di Napoli annulla l’avviso emesso dall’Agenzia nei confronti del Notaio, perché l’imposta di registro liquidata ha natura complementare e non principale e pertanto il Notaio non ne risponde.
La tesi dell’avv. Di Fiore è la seguente. Il Notaio risponde soltanto dell’imposta principale e quella accertata non lo è poiché essa scaturisce dall’accertamento dei fatti come valutati dall’Agenzia in base alla interpretazione della volontà delle parti, che essa da e che risulta difforme rispetto a quella negoziale e considerata per l’autoliquidazione dell’imposta. Quella accertata è imposta di tipo complementare, ex art. 42 DPR 131/86, per la quale non sussiste la responsabilità solidale del Notaio. Ai sensi dell’art. 57, comma 2, del D.P.R. n. 131/1986, la responsabilità dei pubblici ufficiali non si estende al pagamento delle imposte complementari (e suppletive). L’art. 42 del TUR ricomprende nella nozione di imposta principale un duplice prelievo: quello versato direttamente al momento della registrazione e quello richiesto dall’Ufficio al fine di correggere errori o omissioni nell’autoliquidazione nei casi di presentazione della richiesta di registrazione per via telematica. L’art. 3-ter del D.Lgs. n. 463/1997 dispone che il controllo della regolarità dell’autoliquidazione e del versamento delle imposte è svolto, da parte dell’Agenzia, sulla base degli elementi direttamente desumibili dall’atto. Ciò è affermato anche dalla Suprema Corte di Cassazione, secondo la quale l’“imposta principale” è quella risultante dal controllo dell’autoliquidazione, ovvero da elementi desumibili dall’atto in via immediata e senza necessità di qualsivoglia accertamento in merito ai fatti e/o qualsivoglia valutazione interpretativa.
I giudici napoletani accolgono il ricorso e statuiscono che: “Il primo motivo di ricorso è fondato. La SC Cassazione ha chiarito che, in tema di imposta di registro, la liquidazione operata dall’Amministrazione finanziaria a seguito della riqualificazione ai sensi dell’art. 20 d.P.R. n. 131 del 1986 dell’atto presentato per via telematica non ha natura di imposta principale (perché non viene effettuata al momento della registrazione) e neppure di imposta suppletiva (perché non è compiuta all’esito della correzione di errori o omissioni dell’Ufficio), essendo riconducibile alla figura residuale dell’imposta complementare, risultante da un’operazione ermeneutica volta a ricostruire “a posteriori” il reale contenuto giuridico dell’atto, per il cui pagamento è esclusa la responsabilità solidale del notaio rogante, in applicazione dell’art. 57, comma 2, d.P.R. cit. (cfr. cass. Sez. 5 – , Ordinanza n. 3456 del 11/02/2021). Nel caso in esame, è evidente che l’accertamento dell’esatto quantum dovuto richiede valutazioni giuridico interpretative non meramente dirette a correggere errori ovvero omissioni, bensì a ricostruire a posteriori il reale contenuto giuridico dell’atto registrato: trattasi di un canone semplicemente più basso per i primi anni di locazione ovvero di un canone determinato in parte con una prestazione in natura? Tale accertamento potrà essere dunque effettuato ed eventualmente contestato solo ai contraenti effettivi debitori dell’imposta.”
La conduttrice assume l’obbligo di eseguire lavori di ristrutturazione sull’immobile e, in corrispondenza di questo obbligo, la locatrice assume l’impegno di versare un contributo in denaro; nel contratto, le parti dichiarano che “i corrispettivi relativi al presente contratto sono soggetti ad IVA”. In sede di tassazione dell’atto, il Notaio non liquida l’imposta di registro proporzionale perché trattasi di corrispettivo soggetto ad Iva e pertanto escluso dalla stessa ai sensi dell’art.40 del DPR 131/1986 (principio di alternatività Iva-registro). L’Agenzia pretende l’imposta di registro proporzionale nella misura del 3% perché sostiene che il negozio è autonomo e ha per oggetto prestazioni a contenuto patrimoniale.
La difesa impugna il recupero e sostiene che il contributo non deve essere tassato ai fini dell’imposta di registro in misura proporzionale, perché esso è realizzato in forza di un’obbligazione di fare, che, posta in essere da un soggetto passivo Iva, quale è la locatrice, è soggetta ad Iva. In tal caso, il corrispettivo è assoggetto ad Iva anziché ad imposta di registro perché il contributo dovuto dalla locatrice alla conduttrice e l’obbligo di questa di eseguire i lavori di miglioria dei locali sono elementi costitutivi di un negozio autonomo rispetto a quello della locazione. L’art. 3 del DPR 633/72 definisce prestazioni di servizi: <<le prestazioni verso corrispettivo dipendenti da contratti d’opera, appalto, trasporto, mandato, spedizione, agenzia, mediazione, deposito e in genere da obbligazioni di fare…>>. L’art 40 del TUR disciplina il principio di alternatività tra l’imposta di registro e l’IVA. La norma prevede che: <<Per gli atti relativi a cessioni di beni e prestazioni di servizi soggetti all’imposta sul valore aggiunto, l’imposta si applica in misura fissa>>.
Il principio di alternatività mira ad evitare interferenze tra l’Iva e imposta di registro in relazione alla medesima operazione ed a scongiurare fenomeni di doppia imposizione, sicché deve escludersi l’applicazione dell’imposta di registro in misura proporzionale, quando l’operazione è già tassata ai fini Iva. L’applicazione del principio di alternatività presuppone soltanto che in sede di registrazione di un atto venga verificato, preliminarmente, se una determinata pattuizione si riferisca o meno a cessioni di beni o prestazioni di servizi soggette all’imposta sul valore aggiunto.
I giudici accolgono la tesi difensiva e stabiliscono che “Ne deriva la necessità di procedere all’annullamento anche della liquidazione di € 75.000 (3% di 2.500.000), quale imposta di registro relativamente al contributo finanziario della locatrice: trattasi di una prestazione che non trova spiegazione in un contributo di finanziamento ma che bensì si pone in rapporto di connessione e derivazione oggettiva, necessaria ed inscindibile rispetto alle ulteriori disposizioni pattizie; di talché anche tale tributo deve essere considerato di natura complementare e dunque l’accertamento del quantum potrà essere dunque effettuato ed eventualmente contestato solo ai contraenti effettivi debitori dell’imposta.”