di Michele Di Fiore, Presidente della Camera degli Avvocati Tributaristi di Napoli
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L’aggettivo intelligente presente nel titolo della relazione, anche perché virgolettato, voleva essere un’iperbole e richiamare l’attenzione con la ripetizione così creata. Lungi da me – ignorante in materia – prospettare un intervento “intelligente” sul thema.
Dovendo superare lo stato originario di ignoranza, ho attinto – molto superficialmente – dalla letteratura sull’IA e da alcuni articoli di attualità: non c’è giorno che non si scriva su di essa e sulle possibili implicazioni sul nostro futuro. Ho finito così per apprendere che quell’aggettivo è appropriato perché esprime le principali preoccupazioni sugli effetti negativi che possono scaturire dall’utilizzo non controllato dell’IA.
Nella spalla seconda di copertina di una monografia sull’intelligenza artificiale (“Intelligenza artificiale” a cura di Marco Di Dio Roccazzella e Frank Pagano, edito da Il Sole 24 Ore) si legge: “Mettiamolo subito in chiaro: l’intelligenza artificiale non è intelligente. E’ incosciente. Se è autonoma, lo fa su input dell’umano. Non è dotata di sensibilità, sentimenti e creatività. Proprio la definizione di “intelligenza” è alla base di tanti fraintendimenti e di tante paure. Si tratta di comprenderne la portata, riportandola nell’alveo di quello che è: uno strumento al servizio dell’umano, un mezzo per aiutarci a risolvere problemi, facilitarci la vita e non dominarci.”
Qualsiasi strumento, anche quello più avanzato tecnologicamente, e tale è un sistema di intelligenza artificiale, deve essere utilizzato con “intelligenza” e sapienza per consentire il raggiungimento delle finalità per le quali è stato concepito. I risultati delle applicazioni dei sistemi di IA vanno vagliati e non accettati ciecamente. Un uso responsabile di questi strumenti è certamente un uso etico, capace di riconoscere che un utilizzo senza supervisione, o inconsapevole, può portare a decisioni sbagliate.
L’IA, e qui semplifico, altro non è che una serie di algoritmi, che sistematizzano e automatizzano la risposta a tutte le eventualità future, lavorando su una serie di dati e di input passati. Essa implica un approccio interdisciplinare che ha come obiettivo la comprensione, la modellazione e la replica del processo cognitivo: i suoi praticanti appartengono alle discipline della logica, della matematica, dell’ingegneria, della filosofia, della psicologia, della linguistica e della informatica e non certo del giurista, circostanza che giustifica parzialmente il mio stato di ignoranza.
Fatte queste brevi premesse di carattere generale sull’IA, vediamo quale ruolo essa ha nell’attuazione della riforma fiscale.
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La riforma fiscale, secondo il legislatore delegante (legge n.111/2023), troverà attuazione grazie anche all’utilizzo di sistemi di intelligenza artificiale. Non solo per la revisione della disciplina e organizzazione del contenzioso tributario (art.29), che rimane comunque fase patologica del procedimento di attuazione della norma tributaria, ma anche per la riforma del procedimento di accertamento, di adesione e adempimento spontaneo (art.17).
Il ricorso a soluzioni di intelligenza artificiale è richiamato tra i principi generali ispiratori della riforma del diritto tributario nazionale (art. 2) al fine di “prevenire, contrastare e ridurre l’evasione e l’elusione fiscale”, grazie anche alla “piena realizzazione dell’interoperabilità delle banche di dati”.
L’Amministrazione Finanziaria dispone – già da tempo e di recente in misura sempre maggiore – di quantità e qualità di dati il cui utilizzo in linea astratta dovrebbe consentire una forte contrazione dei fenomeni elusivi, evasivi e con essi del contenzioso tributario, perché, se “colto sul fatto” tempestivamente, il contribuente avrà interesse ad addivenire ad un’adesione con l’AF. L’utilizzo “intelligente” dell’IA nelle procedure di accertamento – “intelligente” anche e perchè l’AF sceglierà di dare priorità a questo tipo di applicazione rispetto alle altre – consentirà “finalmente” di “colpire” con immediatezza e buone probabilità di certezza colui che nell’adempiere alla propria obbligazione tributaria attua pratiche evasive o elusive. Il contribuente – opportunamente invitato con comunicazione di compliance (lett.f) art.17) – adempierà spontaneamente senza fare ricorso al contenzioso, soprattutto se solvibile. Da qui la finalità di profilassi rispetto al contenzioso che l’IA può svolgere nel rendere più efficace le procedure di accertamento. D’altronde, lo stesso legislatore della riforma mostra di avere consapevolezza dello stato “incompiuto” della interoperabilità delle numerose banche dati a disposizione dell’AF perché esso mira alla “piena realizzazione”.
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I sistemi di intelligenza artificiale applicati al contenzioso tributario sono un valido strumento di conoscenza per il giudice, ma non devono mai sostituire la sua funzione decisoria. Essi consentiranno di avere una maggiore prevedibilità delle decisioni. In tal senso si può parlare e accettare una “giustizia predittiva”. Anche le parti processuali trarranno vantaggio dall’utilizzo di questo strumento di conoscenza. Sapere preventivamente e con maggiori probabilità il possibile esito del giudizio induce la parte processuale – contribuente o ente impositore – a desistere dall’intraprendere o proseguire il giudizio. Lo stesso giudice potrà avvalersi dello strumento di conoscenza dell’esito probabilistico della causa per porlo alla base di una proposta conciliativa giudiziale ex art.48-bis 1 Dlgs 546/92.
In questa ottica, vanno apprezzati i seguenti principi ispiratori della revisione della disciplina e dell’organizzazione del contenzioso tributario, contenuti nell’art.19:
- sub. a-2): quello dell’obbligo di utilizzo di modelli predefiniti per la redazione degli atti processuali (oltre che dei verbali e dei provvedimenti giurisdizionali). L’utilizzo di modelli non comprime il diritto di difesa. E’ una “nuova” regola, come le altre che già esistono e che disciplinano il funzionamento del processo. I modelli sono strumento di utilizzo del linguaggio giuridico, che troppo spesso è confuso da tutti gli attori del processo, difensori e giudici, con il genere letterario, mentre esso è linguaggio tecnico che ha la finalità – da lato delle parti processuali – di far comprendere le ragioni della domanda giudiziale – dal lato del giudice – le ragioni della decisione assunta. Nella costruzione di un sistema di intelligenza artificiale applicato con intelligenza al processo sarà utile prevedere che il modello predefinito contenga una parte dedicata alla sintesi dei motivi di difesa – una sorta di abstract – che il costruttore dell’algoritmo – nella scelta qualitativa dei dati da porre come input – dovrà considerare e valutare insieme ai precedenti giurisprudenziali. E’ noto, infatti, che medesime fattispecie concrete possono differenziarsi ed anche sensibilmente sul piano processuale in base al contenuto delle allegazioni e argomentazioni delle parti;
- sub. i): quello di realizzare e rendere accessibile a tutti una banca dati della giurisprudenza delle corti di giustizia tributaria. Anche questo strumento risulterà utile in funzione preventiva. Esso consentirà alle parti processuali di conoscere meglio di oggi l’orientamento giurisprudenziale, al fine di decidere se intraprendere o proseguire il giudizio. De iure condendo, è auspicabile che questa banca dati venga integrata con la giurisprudenza di legittimità ed unionale.
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Concludo riprendendo dall’inizio quando ho trattato dell’utilizzo sapiente, responsabile di questo nuovo e potente mezzo. In occasione del recente incontro in Vaticano, organizzato dall’Accademia delle scienze sociali, Papa Francesco ha riferito che “E’ importante guidare l’IA e gli algoritmi perché vi sia in ognuno una consapevolezza responsabile nell’uso e nello sviluppo di queste forme differenti di comunicazione”. Sempre durante quell’evento, rappresentato da parte di uno dei relatori che siamo in mezzo al guado di una nuova versione di capitalismo, dopo quello commerciale, agricolo, industriale, finanziario, ora cibernetico (Stefano Zamagni già Presidente dell’Accademia), Vittorio Emanuele Falsitta, direttore del centro sulla fiscalità etica, ha osservato che “quello che deve cambiare non è la tecnologia ma il rapporto tra capitalismo e tecnica” per “ricondurre il pensiero tecnico nel dominio del pensiero umano”. Infine, il Direttore dell’Agenzia, Ernesto Maria Ruffini, ha commentato che se è vero che “I rischi per l’uomo sono evidenti” da conforto il fatto che “sulle macchine abbiamo un vantaggio competitivo, rappresentato dall’intuizione (come risoluzione di un problema anche senza un ragionamento strutturato) o l’ispirazione, originale processo creativo. Sta insomma all’uomo porre sé stesso al centro dell’universo, facendo un uso positivo degli strumenti a disposizione per non rendersi irrilevante e non farsi annullare” (Sole 24 Ore del 30.9.2023).
Trasferendo queste considerazioni nell’applicazione di sistemi di intelligenza artificiale alla soluzione delle controversie giudiziarie, possiamo concludere che l’IA contribuirà con efficacia alla fase del conoscere ma deve rimanere estranea alla fase del decidere, perché solo l’uomo, il giudice in carne ed ossa – anzi con la sua anima come scriveva il Calamandrei – è in grado di affrontare il grande peso della grande responsabilità di rendere giustizia, cogliendo tutte le sfumature, peculiarità e specificità di ogni singolo caso.